Perequazioni pensioni. Importante decisione del Tribunale di Trento
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Arriva da Trento un nuovo importante passo avanti nella direzione di scalfire il meccanismo ingiusto della perequazione a blocchi per i pensionati e le pensionate italiane. Il Tribunale di Trento ha accolto le motivazioni di Cgil e Spi giudicandole fondate per sollevare la questione di legittimità costituzionale. Il caso riguarda un pensionato trentino iscritto allo Spi del Trentino. “La decisione del Tribunale di Trento è un importante passo avanti nella direzione di smontare un meccanismo, quello della perequazione a blocchi, iniquo perché puntando su un appiattimento della rivalutazione degli assegni pensionistici tende a cancellare la storia contributiva delle lavoratrici e dei lavoratori e ha il solo scopo di fare cassa per il Governo. Questo sistema, introdotto nuovamente con la legge di Stabilità 2023, produce una pesante sforbiciata per i trattamenti pensionistici superiori a 4 volte il minimo, che non sono pensioni ricche. Il tutto senza alcun criterio di proporzionalità e progressività come sarebbe coerente con la nostra Costituzione. Auspichiamo ora che la Consulta modifichi questa legge ingiusta ”, commenta Claudia Loro, segretaria dello Spi del Trentino che ha sostenuto il ricorso nazionale.
Sotto il comunicato stampa nazionale
Perequazione pensioni: Cgil e Spi, da Tribunale Trento segnale chiaro, ora Consulta intervenga contro legge ingiusta e punitiva
Roma, 2 luglio – “Accogliamo con grande soddisfazione l’ordinanza del Tribunale di Trento che ha rimesso alla Corte costituzionale la valutazione sulla legittimità del meccanismo di perequazione automatica introdotto dalle leggi di bilancio 2023 e 2024. È una decisione che rappresenta un passaggio fondamentale nella nostra battaglia contro un sistema iniquo e penalizzante, che ha colpito milioni di pensionati e pensionate negli ultimi anni”. Così Cgil nazionale e Spi Cgil commentano il provvedimento del Tribunale del capoluogo trentino dello scorso 30 giugno, che solleva la questione della scelta del Governo di rivalutare le pensioni per blocchi anziché per fasce.
Cgil e Spi spiegano che “il passaggio dal sistema ‘a scaglioni’, più equo, al sistema ‘a blocchi’ nella rivalutazione automatica delle pensioni, che applica un’aliquota fissa all’intero importo dell’assegno sulla base di soglie rigide, ha svuotato di significato il principio di proporzionalità contributiva, producendo inoltre un effetto strutturale di appiattimento dei trattamenti pensionistici, in contraddizione con la storia lavorativa e contrattuale delle persone. Infatti, due pensioni inizialmente distanti dopo la rivalutazione si ritrovano quasi allineate, vengono cancellate le differenze tra carriere e contributi versati e di fatto si disincentiva il lavoro stabile, continuativo e contributivo”.
“Il danno è doppio: economico, perché la perdita si consolida nel tempo, e morale, perché si rompe il patto implicito tra cittadino e Stato secondo cui alla contribuzione deve corrispondere un trattamento proporzionato e dignitoso. Un’operazione – denunciano – mirata a fare cassa sulle pensioni. E non certo la prima: questo Governo, a partire dalla legge di bilancio del 2023, ha tagliato nel triennio 10 miliardi di euro netti dalle pensioni, che arrivano a 54 miliardi in dieci anni. La riduzione della rivalutazione colpisce soprattutto le pensioni superiori a quattro volte il minimo, ossia assegni netti intorno ai 1.650 euro, che non possono essere certo considerati ricchi”.
Confederazione e sindacato dei pensionati sottolineano che “l’ordinanza richiama i principi di proporzionalità, adeguatezza e progressività sanciti dalla Costituzione (artt. 3, 36 e 38) e ribadisce che tali diritti non valgono solo al momento della liquidazione della pensione, ma devono essere garantiti per tutta la sua durata, in funzione dell’andamento dell’inflazione. Si tratta di un primo, fondamentale riconoscimento della bontà delle nostre rivendicazioni, ed è frutto di una mobilitazione costante per difendere il potere d’acquisto delle pensioni e la dignità di chi ha contribuito alla crescita del Paese con anni di lavoro e di sacrifici. Ora – concludono Cgil e Spi – tocca alla Corte ristabilire giustizia ed equità. Non si può continuare a colpire sempre gli stessi: i pensionati non sono un bancomat dello Stato”.