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“Turismo trentino: crescita per pochi, precarietà per molti

Bertolissi (Fisascat CISL) e Picchetti (UILTuCS): “Disdettato il contratto integrativo provinciale. Il modello trentino è immobile e subalterno, mentre a Bolzano si contratta e si costruisce”

Oggi abbiamo formalmente disdetto il contratto integrativo provinciale del turismo in Trentino. Lo
facciamo non per formalità, ma per necessità. Il contratto, da anni in vigore sulla carta, non è mai
stato realmente applicato in modo pieno, né rispettato, né aggiornato. È diventato un guscio vuoto,
una maschera tecnica per nascondere l’assenza di volontà politica di affrontare i nodi strutturali del
settore: salari bassi, precarietà cronica, orari impossibili, nessuna programmazione sull’alloggio,
mancato rispetto degli impegni sottoscritti. «Abbiamo disdetto il contratto integrativo perché il
tempo delle mediazioni vuote è scaduto. A Trento si continua a parlare di turismo d’eccellenza, ma
si lavora in condizioni da retrobottega. La ricchezza prodotta non si redistribuisce, i contratti non si
applicano, le persone si sfruttano. Questo modello è fallito. Noi vogliamo ribaltarlo.» Luigi Bozzato,
segretario generale Filcams CGIL Trentino, Fabio Bertolissi, segretario generale Fisascat CISL
Trentino e Stefano Picchetti, segretario generale UILTuCS Trentino-Alto Adige/Südtirol. Il
paradosso è evidente: mentre il presidente di ASAT, Gianni Battaiola, nella sua relazione annuale
parla di imprese solide, patrimonializzate, con ricavi in crescita del 7%, i lavoratori e le lavoratrici
vivono sulla loro pelle l’opposto. Non sono pochi i casi di turni spezzati, rapporti stagionali non
rinnovati, mancanza di alloggi decenti, compensi che non coprono il costo della vita. Si tratta di
migliaia di persone che, spesso provenienti da fuori regione o da altri Paesi, reggono un’intera
economia, ma non riescono a costruirsi una vita. Le imprese chiedono personale, ma non offrono
condizioni dignitose. Parlano di “crisi di manodopera” per giustificare il ricorso a nuove risorse
pubbliche. Ma non è la disponibilità di lavoratori che manca: è la credibilità del settore a essere
crollata. Chi è cresciuto dentro anni di sfruttamento, promesse disattese e orari disumani, ha scelto
di andarsene. Il problema non è l’assenza di braccia, è l’assenza di diritti. A Bolzano la situazione è
molto diversa. Lì, a parità di cornice istituzionale e territoriale, le parti sociali hanno dimostrato di
saper fare contrattazione. È stato firmato un nuovo contratto territoriale, è stato attivato un fondo
sanitario bilaterale costruito da zero, e si è aperta una trattativa seria sulla destagionalizzazione.
Un approccio pragmatico, autonomo, partecipativo. A Trento invece, nonostante quel fondo fosse
già previsto dal vecchio contratto integrativo, con tanto di versamenti fissati, non è mai stato
attivato. Le controparti economiche – ASAT, Confcommercio, Confesercenti – hanno preferito
lasciarsi paralizzare da lotte interne e ordini provenienti da Roma, abdicando completamente a
ogni ruolo propositivo. E da un sistema così disorganizzato, incapace persino di mandare gli inviti
alla propria assemblea annuale alle persone giuste – inoltrandoli agli ex segretari di categoria
invece che agli attuali – cos’altro ci si potrebbe aspettare? Questa non è autonomia: è
disorganizzazione istituzionalizzata. Non è solo una questione di coerenza. È una questione di
credibilità del sistema. Quando le imprese parlano di “sostenibilità”, ma i contratti restano bloccati,
quella parola perde di senso. Quando chiedono governance, ma si rifiutano di riconoscere i
lavoratori come soggetti della trasformazione, non è governance: è comando. C’è un nodo politico
che riguarda tutta la rappresentanza economica trentina. Un nodo che richiama da vicino le
dinamiche istituzionali. Come accade nella politica provinciale, anche qui la retorica dell’autonomia
viene tradita dalla sudditanza sistematica a logiche esterne. Il presidente della Provincia Fugatti ha
voluto introdurre la norma sui tre mandati? È stata impugnata dal Governo nazionale in cui il suo
stesso partito siede. ASAT, Confcommercio e Confesercenti si comportano allo stesso modo:
parlano locale, ma agiscono su input centrale. E mentre si litigano ruoli e quote, i lavoratori restano
scoperti. Chi lavora nel turismo trentino ha bisogno di altro. Ha bisogno di un contratto serio,
efficace, rispettato. Di un salario proporzionato alla produttività, di un alloggio dignitoso garantito,
di tutele sanitarie effettive, di continuità tra una stagione e l’altra, di formazione vera, non parole
nei documenti. Questa disdetta è il primo atto. Ora vogliamo costruire un nuovo impianto
contrattuale, che non nasca per tenere buoni i tavoli, ma per dare strumenti reali a chi lavora. Se
c’è produttività, ci siano aumenti. Se c’è turismo annuale, ci sia stabilità. Se si parla di qualità, si
parta da chi lavora. «A Bolzano si firma, si applica, si costruisce. A Trento si promette, si rinvia, si blocca. Non è un problema tecnico: è un vuoto di volontà. Le associazioni datoriali trentine si sono arrese a Roma e alla propria paralisi. Noi invece rilanciamo: pretendiamo un nuovo contratto, fondato su salario, stabilità e rispetto. E se non ci sarà ascolto, ci sarà lotta.» Luigi Bozzato, Fabio Bertolissi e Stefano Picchetti,. Le imprese che oggi parlano di scarsità di personale, ma non vogliono trattare sulle condizioni di chi lavora, si stanno scavando il vuoto attorno. E il sindacato confederale che oggi rilancia questa vertenza non lo fa per difendere un contratto: lo fa per aprire un fronte polilsico, culturale e sociale. La ricchezza che non si redistribuisce genera squilibrio. E lo squilibrio produce rottura. O si cambia modello, o si apre il conflitto.

 

 

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