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Scuola: aumenti? Più corretto sarebbe parlare di parziale adeguamento al tasso d’inflazione

Flc Cgil: con l’8/9% l’asticella si ferma a poco più di metà di un IPCA al 15%; con ripercussioni esponenziali sugli anni a venire

La posizione della CGIL del Trentino e dunque di Flc del Trentino sugli “aumenti retributivi” concessi dall’amministrazione al personale del pubblico impiego è nota: non riteniamo accettabili adeguamenti retributivi che non abbiano nemmeno lontanamente l’ambizione di colmare il divario tra l’aumento del costo della vita, 15% nel triennio in questione, il 2022-2024, e la perdità del potere d’acquisto dei salari.
Non rintracciamo alcuna giustificazione valida per fissare l’asticella degli “aumenti” all’8% rispetto a un inflazione al 15%, tanto più se conditi con una narrazione politica che afferma di voler rilanciare i salari, restituire potere d’acquisto ai lavoratori e persino di voler restituire ai docenti il ruolo e lo status sociale che meritano mediante buste paga più pesanti. Questa narrazione capovolge la realtà. Aumenti così sensibilmente inferiori al tasso d’inflazione non garantiscono ai lavoratori nemmeno la conservazione del tenore di vita attuale e si traducono invece a un arretramento. Quel 7% che manca e servirebbe a colmare il divario con l’aumento del costo della vita non lo recupereremo più e negli anni a venire compoterà una perdita esponenziale per i lavoratori. Quando l’estate scorsa siamo stati convocati dall’amministrazione per la firma del protocollo politico che doveva rappresentare l’impegno della politica a rinnovare i contratti collettivi – protocollo che non abbiamo firmato – caldeggiava la firma sventolando lo spettro del Patto di stabilità e crescita con l’Europa, che nei prossimi anni comporterà stringere le stringhe della borsa per l’Italia. Peccato che negli ultimi quattro anni, dopo la pandemia, quindi proprio gli anni che interessano il triennio a cui ci riferiamo, il Patto di stabilità e crescita è rimasto sospeso ed è stato riattivato solo con settembre 2024. Se c’era un’occasione quindi per dare ossigeno ai salari è stata proprio quella che così facendo abbiamo perso.
Un 7% in meno in un anno equivale a circa una mensilità in meno. Per fare l’esempio di un insegnante a metà carriera parliamo di circa 2.800 euro lordi in meno l’anno. Se ragioniamo in prospettiva futura è facile comprendere come ciò si ripercuoterà sui futuri aumenti contrattuali in modo esponenziale. Se oggi un docente a metà carriera si aggira attorno ai 36.400 euro lordi l’anno, un aumento del 9% lo porta a 39.500 mentre un aumento del 15% lo porterebbe quasi a 42.000. Ora pensiamo agli anni a venire. L’amministrazione propone di iniziare subito la trattativa per il rinnovo contrattuale del triennio che si apre, il 2025-2027, prospettando aumenti del 2% annuo. Se andasse così lo stesso docente col prossimo rinnovo, sulla base degli aumenti stabiliti oggi dalla provincia (8/9%) dal 1° gennaio 2027 andrà a guadagnare circa 41.900 euro, mentre se adesso fosse garantitto il 15% di aumento, a regime nel 2027 guadagnerebbe più di 44.500. In buona sostanza quel 7% di aumento non riconosciuto oggi, servirà a finanziare tutti gli aumenti del prossimo triennio. Se questo è l’effetto solo sul prossimo triennio possiamo facilmente intuire quanto ci andremo a perdere nei prossimi dieci, quindici o vent’anni.

Raffaele Meo

segretario generale Flc Cgil del Trentino

 

 

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