Emergenza salari. Il 60 per cento dei dipendenti trentini è senza contratto
Cgil Cisl Uil: rinnovare gli accordi nei tempi giusti è essenziale per affrontare il nodo retribuzioni. Dal Governo nazionale e dalla Giunta ci attendiamo una politica dei redditi che aiuti le famiglie più in difficoltà
Sono circa 120 mila le dipendenti e i dipendenti trentini che attendono il rinnovo del contratto di primo livello. E’ questo il primo punto da tenere a mente quando si parla di emergenza salariale perché senza rinnovi contrattuali i lavoratori sono più poveri.
In alcuni comparti il rinnovo dell’accordo manca da anni. Come nel commercio dove circa 20mila lavoratori hanno le retribuzioni ferme dal 2019 e a fine anno si sono dovuti accontentare di una una tantum di 30 euro in attesa che le parti arrivino ad un’intesa.
Non va meglio negli studi professionali né nella vigilanza privata dove i rinnovi mancano rispettivamente dal 2018 e dal 2015. Nel turismo e ristorazione il contratto è scaduto nel 2021.
Senza rinnovo anche i 50mila addetti del comparto pubblico provinciale e nazionale, della sanità e della scuola. Da quattro anni aspettano un adeguamento delle retribuzioni anche i 10mila addetti delle cooperative sociali. E poi ci sono i lavoratori più fragili, quelli dei lavoratori socialmente utili, Intervento 19 e Progettone. “E’ vergognosa che i settori centrali della nostra economia siano senza un contratto rinnovato – dicono senza mezzi termini i segretari provinciali di Cgil Cisl Uil del Trentino, Andrea Grosselli, Michele Bezzi e Walter Alotti -. I contratti vanno siglati nelle scadenze giuste ed è inaccettabile che per irresponsabilità delle parti datoriali i tavoli restino bloccati anche anni, mentre i lavoratori e le lavoratrici continuano ad impoverirsi”.
Non va molto meglio a chi ha visto le proprie retribuzioni adeguate all’inflazione programmata. “La crescita dei prezzi nel 2022 è stata nettamente più alta di quella prevista ad inizio anno e anche nei comparti in cui i rinnovi ci sono stati i lavoratori soffrono perché non hanno recuperato il potere d’acquisto perso”, proseguono i sindacalisti che fanno notare anche che gli stipendi in Italia sono fermi da trent’anni. Fa eccezione il contratto nazionale dei metalmeccanici che prevede un recupero almeno parziale dell'inflazione anno per anno e non al rinnovo. “in ogni caso il problema di bassi salari non è solo una questione di tassazione – insistono Grosselli, Bezzi e Alotti -. Anche nei Paesi con un cuneo fiscale più alto del nostro come Austria, Germania, Belgio, le buste paga sono più elevate. Per troppo tempo non si sono redistribuiti i profitti sui lavoratori”.
Cgil Cisl Uil sollecitano dunque le associazioni datoriali a rinnovare con tempestività gli accordi. “A livello locale la strada da percorrere invece è quella di estendere la contrattazione territoriale di settore per adeguare gli stipendi al reale costo della vita sul nostro territorio. I contratti aziendali si siglano con difficoltà nelle aziende più grandi, nelle piccole non c’è contrattazione decentrata”.
In tal senso Governo nazionale e locale non dovrebbero limitarsi ad agire solo sulla detassazione del costo del lavoro o sul welfare aziendale. “Servono misure che spingano le aziende ad alzare le retribuzioni in modo strutturale”.
Dalla Provincia Cgil Cisl Uil si attendono anche una seria politica dei redditi. “Il costo della vita sul nostro territorio è più alto e sulla capacità di spesa di una famiglia trentina incide fortissimamente il costo dell’abitazione, sia affitto sia mutuo anche con il rialzo dei tassi. La Giunta Fugatti non ha fatto fino ad adesso nessuna politica della casa che guardi ai ceti più poveri e alle famiglie con reddito medio impoverite dall’inflazione. Si è rifiutata di adeguare all’inflazione l’assegno unico provinciale indicizzando l’Icef. Di fatto al di là di qualche bonus per la natalità, i cui effetti sono tutti da dimostrare, è rimasta sostanzialmente immobile mentre le famiglie erano sempre in maggiore difficoltà”, concludono.