RSA e le interferenze con l'Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari
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Ha fatto bene la Giunta provinciale a ritirare l'emendamento che prevedeva la presenza di un
medico “coordinatore” dell'Azienda sanitaria a disposizione delle RSA - Residenze Sanitarie
Assistenziali – essenzialmente per due ragioni: una di metodo e l'altra di merito(errare humanum
est, perseverare autem diabolicum).
Su quella di metodo giustamente c'è stata l'immediata alzata di scudi di UPIPA (consorzio delle Rsa in provincia) in quanto tale provvedimento ledeva di fatto l'autonomia degli enti e spostava una competenza loro riservata sia dalla legge istitutiva (L. Regionale n. 7/2005) che dalle stesse direttive date dalla Provincia per l'anno 2020. Non era infatti accettabile che una simile modifica e “interferenza” fosse realizzata e votata senza alcuna verifica preventiva con i titolari del servizio di RSA. Inoltre tale emendamento conteneva un ulteriore elemento di discutibile iniquità in quanto riguardava le sole RSA gestite da APSP e non le RSA gestite dalle cooperative sociali che gestiscono 387 posti letto pari al 9% del totale. Speriamo quindi che il passo indietro consenta di ristabilire un corretto confronto fra le parti senza prevaricazioni di sorta.
La questione di merito risulta, se possibile, ancora più importante perché si ripete la scelta di
provvedimenti a spot che vengono rivendicati come riforma del settore interessato. Ci ritornano alla mente le recenti dichiarazioni del dott. Bordon, prima di lasciare l'Azienda sanitaria, dove precisava che uno dei temi chiave era che la Giunta non aveva una strategia chiara in tema di sanità.
Che ci sia bisogno di una riorganizzazione e rimodulazione delle RSA trentine dopo l'esperienza Covid (peraltro non ancora conclusa) è sotto gli occhi di tutti e in modo particolare degli anziani che vi risiedono e dei loro familiari. Va precisato innanzitutto che la futura RSA deve comunque rimanere caratterizzata da spazi e ambienti che rispettano la dignità della persona nella sua quotidianità, che consentano/facilitino le relazioni, che sappia innescare percorsi virtuosi di benessere. Nel contempo deve riuscire a rispondere sempre più con prontezza ed efficacia a situazioni particolarmente avverse e di emergenza come quelle che si sono determinate con il coronavirus.
E' necessario quindi pensare ad una RSA capace di rispondere a queste due nuove dimensioni di
cui la prima è ben nota, perché appartiene alla realtà attuale (socio-sanitaria), mentre la seconda non è mai stata sperimentata, perseguita. Questa seconda caratteristica dovrà comunque essere attuata rifuggendo da modelli di tipo ospedaliero. Infatti non bisogna mai dimenticare che una RSA non potrà e non dovrà mai essere un piccolo ospedale di serie B. La struttura dovrà quindi mantenere e difendere la sua impostazione di “casa calda e accogliente”, luogo di relazioni forti e di socializzazione anche se sappiamo che viene abitata da persone fortemente compromesse nella loro salute e nelle loro capacità sia fisiche che intellettive, e che richiedono interventi sanitari e specialistici.
Dal punto di vista strutturale, per esempio, sarà necessario dotare le RSA di un congruo numero di stanze singole piuttosto ampie dotate di antibagno e anti-ingresso da trasformare in zone “filtro” in caso di pericolo di contagio. Queste stanze dovranno essere posizionate all'interno della struttura in zone facilmente isolabili e alcune di esse dovranno essere mantenute vuote, in grado di ospitare persone affette da virus.
Dal punto di vista organizzativo va superato il modello in atto basato su parametri di personale
medico, infermieristico, fisioterapia, assistenziale legati al numero di posti letto. La complessità
clinica, la cronicità nonché le demenze richiedono che il numero del personale venga determinato
dal carico assistenziale generato dalla complessità e gravità delle patologie e non dal numero di
posti letto. Ricordiamoci e riflettiamo sul solo parametro medico, stabilito dalle direttive provinciali, pari a 2 minuti a posto letto al giorno: con tale dotazione si è dovuto affrontare l'emergenza Coronavirus (per non parlare di quello infermieristico una ogni 60 posti letto). Con queste dotazioni si è affrontato un virus sconosciuto all'interno delle RSA e non solo.
La politica deve sapere che le RSA hanno già il medico coordinatore e che nei primi anni 2000 la Provincia in accordo con l'Ordine dei medici e l'APSS avevano istituito, primo in Italia, un percorso formativo per medici coordinatori di RSA a cui hanno partecipato anche medici di fuori provincia del Veneto, della Lombardia e di altre regioni. Allora eravamo noi i punti di riferimento.
L'evento del coronavirus ha messo in evidenza una contraddizione, una carenza presente da tempo e in parte sottaciuta. Il rafforzamento del modello sanitario deve essere accompagnato da un aumento di dotazioni strumentali diagnostiche e di cura, una maggiore tempestività nel trasmettere dalla sanità (ospedale/azienda) linee guida e nel concretizzare percorsi formativi e di aggiornamento. E' necessario mirare ad una maggior qualificazione valorizzazione e dotazione di personale infermieristico e medico specializzato per ottenere risultati che tutelino veramente la vita degli anziani presenti all'interno delle varie strutture (magari consorziandosi per la gestione di alcuni servizi). Più che interventi dall'alto e sovrastrutturali serve potenziare e riconoscere il valore delle professionalità interne. Tali cambiamenti (riforme) poi non possono essere realizzati a “invarianza “ di spese, bensì individuando nuove risorse per valorizzare questo mondo socio-sanitario che non può e non deve essere stravolto o immiserito.
di Renzo Dori (ex presidente di una APSP)