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Non lavoro per sport, è ora di riconoscere contratto e diritti

In occasione del Festival dello Sport, il sindacato chiede attenzione sui lavoratori Giovedì 10 ottobre alle 17,00 presidio e conferenza stampa davanti al Teatro Sociale Slc e Nidil: si leghino i contributi pubblici al rispetto del lavoro

Non lavoro per sport, è ora di riconoscere contratto e diritti

 

Lo sport è sinonimo di vita sana, ma non sempre di lavoro sano. L’ambito sportivo rappresenta in Italia e anche in Trentino un ottimo settore in cui trovare occasioni di lavoro. Molto spesso, però, si tratta di lavoro precario, in alcuni casi anche irregolare. Anche nella provincia più sportiva d’Italia, infatti, quelli dello sport sono lavoratori invisibili, spesso definiti solo volontari. La denuncia, non nuova, arriva da Slc e Nidil del Trentino che in occasione del Festival dello Sport organizzano giovedì 10 ottobre alle 17,00 davanti al Teatro Sociale un presidio e una conferenza stampa. All’appuntamento sarà presente anche Fabio Scurpa della segreteria nazionale della Slc.

Il Festival dello Sport è un evento importante – premettono i segretari generali delle due categorie Claudia Loro e Gabriele Silvestrin -. Non possiamo però fare a meno di notare che, anche dietro il mondo dei grandi campioni, lo sport non è solo sinonimo di successo, sacrificio, vita sana, ma anche di sfruttamento del lavoro, confondendo con il volontariato con un’attività dalla quale dipende il sostentamento economico di una persona”.

In ambito sportivo ci sono atleti, istruttori, allenatori, tecnici di varie discipline, addetti alla riabilitazione, personal-trainer, addetti alla gestione di impianti sportivi, persone, molto spesso giovani e qualificate, che hanno diritto a veder riconosciuto il loro lavoro, la loro professionalità e le loro competenze. Oggi non è così: esiste un Contratto Nazionale di Lavoro, quello degli Impianti Sportivi, che viene applicato solo in casi eccezionali, mentre si preferisce ricorrere a contratti di collaborazione, rimborsi spese etc.

A fronte di un milione di volontari, esistono 88.000 lavoratori retribuiti, di cui l'85% con forme di contratto precario. (dati Coni- Censis nel Rapporto Sport & Società).

Le società sportive applicano quasi sempre il contratto a progetto sportivo che prevede fino a 10 mila euro di compensi senza nessun tipo di contribuzione previdenziale, niente malattie né ferie. Esaurito questo plafond si applicano poi i vari contratti di collaborazione occasionale, precari, privi di tutele e contribuzione riconducibili spesso per calendarizzazione/programmazione e controllo, a un rapporto di lavoro subordinato.

Il contratto nazionale che si dovrebbe applicare al personale delle associazioni sportive affiliate al Coni prevede, invece, rapporti di lavoro di natura subordinata, ma che risponde perfettamente alle esigenze del settore, coniugando flessibilità a tutele per i lavoratori e lavoratrici.

Una situazione inaccettabile soprattutto se si tiene conto che le società sportive ricevono contributi importanti per la loro attività sia dalla Provincia sia dalle Amministrazioni comunali – insistono Loro e Silvestrin -. Crediamo sia giusto, legittimo e opportuno sostenere lo sport, ma è importante vincolare questi importanti contributi pubblici anche al rispetto dei diritti dei lavoratori. E’ indispensabile e necessario rivedere le forme e le fonti di finanziamento collegando ogni agevolazione esistente, ogni ulteriore incremento e ogni futura disponibilità a regole trasparenti: nella gestione delle risorse; nella definizione delle regole per la gestione delle strutture sportive pubbliche; nel riconoscimento della prestazione sportiva organizzata; nel verificare la regolare applicazione del diritto del lavoro.

Il recente tour dell'assessore provinciale allo Sport, Failoni, auspichiamo si sia inserito in questo quadro, non limitandosi a incrementi generalizzati a prescindere da requisiti, verificati, di rispetto della qualità del lavoro.”

Così come, peraltro, norma la recente Legge delega sullo Sport (L. 8 agosto 2019, n. 86) che, finalmente, si pone l'obbiettivo del riconoscimento dei principi di specificità del rapporto di lavoro sportivo, come definito a livello nazionale ed europeo.

 

Accanto al tema del riconoscimento del lavoro dipendente c’è poi quello della discriminazione di genere: ancora oggi le atlete e le lavoratrici dello sport hanno remunerazioni e trattamenti peggiori rispetto ai loro colleghi uomini.

Ma non solo, nessuna atleta donna è riconosciuta, dallo Stato e dal CONI, come professionista, come dire: Pellegrini, Goggia, Bebe Vio, le ragazze del Calcio e del Volley etc, sono dilettanti, giocano “per diletto”, essendo i soli maschi a potersi definire professionisti. Un limite culturale e incivile, da superare immediatamente.

 

Il sindacato lancia dunque una campagna di informazione e tutela di questi lavoratori e chiede di aprire un confronto con l’assessore provinciale allo Sport per rivedere le regole che disciplinano l’erogazione dei contributi, inserendo tra i criteri il rispetto delle regole contrattuali e l'adeguamento alla recente normativa in materia.

 

 

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